Lavorare in una grande azienda consente di entrare in contatto con persone di svariato genere, e io lo ritengo una fortuna, un arricchimento. Così recentemente mi è capitato di lavorare con un mio collega comunista, ma non nella balzana accezione del termine che ne da Berlusconi, un pò a mò di insulto insomma, ma un comunista di quelli come io pensavo non ce ne fossero più, che non compra le cose a rate per non dare i soldi alle banche e che vorrebbe statalizzare ogni azienda.
Grazie a questo dialogo mi sono reso conto di quanto io sia distante dall’ideologia comunista, e di come in Italia il dibattito politico sia sterile e personalizzato, principalmente ma non solo sulla figura di Berlusconi: non a caso ogni leader inserisce il proprio nome nel simbolo del suo partito. In Italia capita di essere considerato comunista anche se si sostiene una tesi che non dovrebbe essere nè di destra nè di sinistra, ma semplicemente di civiltà, tipo che un individuo che controlla tre televisioni e parte dell’editoria non potrebbe diventare presidente del consiglio. Per cui, pur convenendo che le vecchie distinzioni sono un pò stantie e persino inutili, mi sono chiesto se io, uscendo da questi paradossi italici, sia ideologicamente più vicino alla destra o alla sinistra.
Partendo dalle tesi economiche, il comunismo o comunque le teorie di sinistra vorrebbero una sostanziale equità, una distribuzione del reddito uguale o comunque molto simile per qualunque professione, con un controllo molto elevato o totale dello Stato sull’economia, mentre invece storicamente il libero mercato è una teoria di destra, in cui chi più merita più guadagna. In realtà il concetto di merito è davvero soggettivo, in quanto in un libero mercato privo di regole funziona che chi ha più capitale guadagna sempre di più, mentre chi è povero diventa sempre più povero e non potrà mai competere con chi è più ricco.
E’ un pò il meccanismo con il quale la grande distribuzione (grandi magazzini, centri commerciali, supermercati) ha strangolato il commercio al dettaglio, i piccoli negozi di alimentari o i fruttivendoli, che non sono riusciti reggere la concorrenza. Ebbene, le mie considerazioni in proposito sono che il meccanismo dell’uguaglianza può essere astrattamente molto bello e anche eticamente corretto, in quanto ogni lavoro ha una sua dignità, per cui chi stabilisce ad esempio che un ingegnere debba guadagnare pià di un muratore (uno ha studiato di più, ma l’altro fa molta più fatica), ma applicato al pratico non funziona, toglie ogni stimolo, ogni motivazione. Viene a mancare il motore per andare avanti, per migliorare nel tempo le condizioni di vita collettive. Il meccanismo, umanamente comprensibile, che scatta, è il seguente: perchè devo fare fatica o comunque impegnarmi a fare un lavoro, qualunque esso sia, a regola d’arte, quando non mi cambia niente se lo faccio male? Venendo a mancare la meritocrazia si tende a livellarsi verso il basso piuttosto che verso l’alto, per cui il capitalismo, seppur per certi versi distorto se non addirittura eticamente disgustoso, dal mio punto di vista resta il sistema economico migliore. Sebbene occorrano delle regole, un sistema di welfare che consenta ai più deboli (inabili al lavoro, indigenti o persone troppo anziane per lavorare) di avere comunque di che sopravvivere. E naturalmente, dei diritti quali sanità, sicurezza ed istruzione garantiti per tutti. Insomma, per me va bene il sistema economico ormai universalmente accettato in tutto il mondo occidentale, con sfumature più o meno liberiste a seconda dei governi e della tradizione di ogni paese. Certo, bisogna fare molta attenzione a non fare passare il concetto che il denaro, l’arricchimento, sia lo scopo principale se non unico dell’esistenza, perchè altrimenti si arriva alla rovina, a una società invivibile, una giungla in cui vince il più forte. Ma la formazione culturale di una popolazione è argomento veramente sottile, delicato, i fattori che intervengono non sono facilmente controllabili e sono globalizzati, non riconducibili alle leggi di un singolo stato.
Però, appunto, rimanendo a trattare di valori e tornando alle differenze tra destra e sinistra, storicamente i valori cari alla destra sono: Dio, patria e famiglia, quindi da un lato il concetto di un potere imposto dall’alto piuttosto che derivante dal basso, dal popolo, e dall’altro una visione della società piuttosto tradizionalsta, conservatrice. Ecco, da questo punto di vista, chiamiamolo etico, mi sento profondamente di sinistra, in quanto ritengo che la fede debba essere un fattore puramente spirituale, che non influisce sulle vicende pratiche. Io ho una visione estremamente laica della società, penso che ognuno dovrebbe essere libero di pregare chi gli pare ma sempre in modo personale, intimo. Scendendo nel pratico, ai giorni nostri direi, sono contrario al burqua (per il semplice fatto della riconoscibilità, per il resto un adulto con la facoltà di intendere e di volere può vestirsi come gli pare) così come sono contrario all’esposizione del crocefisso negli edifici pubblici. Della patria onestamente non ho una così elevata concezione, fondamentalmente alla difesa delle nostre radici e tradizioni non do una grande importanza; anche perchè ho un approccio molto pratico alla questione, su cui eppure le destre in occidente hanno costruito molte delle recenti vittorie elettorali: partendo dal presupposto che grazie all’Unione Europea all’interno degli stati facenti parte dell’unione c’è l’assoluta libertà di circolazione degli individui e delle merci, per cui un olandese ha il mio stesso diritto di risiedere a Varese, a Roma o a Palermo. Ma non è questo ad agitare i vari xenofobi e neo ducetti, quanto il presunto scontro di civiltà, la paura per coloro che arrivano da culture profondamente diverse per usi, costumi e religione. Il fatto è che storicamente si fugge dalla fame, dalla miseria, anche noi italiani lo abbiamo fatto in altre epoche. Non si può pretendere di vivere nel lusso e di stare nello stesso mondo di chi muore di fame, perchè è inevitabile che chi sta peggio cerchi di raggiungere chi sta meglio, di emularlo. E se per farlo deve emigrare, la storia lo insegna, lo fa. Va a cercare fortuna, come dire che non è che gli emigranti vengono qui per un loro capriccio o per fare un dispetto a noi, o come vaneggia qualcuno per colonizzare l’Europa cristiana con la cultura mussulmana. E’ una questione di sopravvivenza, si può cercare di regolamentare più o meno rigidamente l’immigrazione ma il futuro è comunque nella società multietnica, se si guardano le grandi metropoli europee, Londra o Parigi, si scopre che già da anni convivono razze, culture e religioni di ogni tipo. Si fa fatica, ma ci si integra, battersi per la conservazione delle proprie radici e tradizioni può essere politicamente una boutade di buon effetto popolare ma a lungo termine è una battaglia persa in partenza. Infine, arrivando ad occuparmi della famiglia, non sono così sicuro che sia il fondamento su cui debba basarsi la società, ormai le coppie scoppiano con una tale frequenza che la famiglia tradizionale risulta un modello un pò sorpassato. E tendenzialmente non ci vedo niente di male, sono convinto che gli amori nascano e finiscano, è nelle umane vicende, e penso anche che sia inutile restare insieme quando non si è più innamorati. E credo sia anche normale trovarsi un nuovo compagno, che magari dovrà crescere i figli di un altro, creando una sorta di famiglia allargata, lontana dal modello tradizionale. Sono anche favorevole alla parità dei diritti tra coppie eterosessuali ed omosessuali, se poi si volesse differenziare queste ultime non chiamando le loro unioni matrimonio poco cambierebbe, non ne farei una questione di semantica.
Un’altra questione cara alla destra riguarda l’ordine, la disciplina, che se vogliamo è un valore direttamente collegato a quelli precedenti, in quanto se una regola è imposta dall’alto non è discutibile, ma semplicemente eseguibile, mentre la sinistra storicamente è più lassista, tollerante, tant’è che il movimento anarchico è stato spesso contiguo alle frange di estrema sinistra. Anche se in Italia in questa fase storica succede il contrario, con la corrente giustizialista riconducibile a Di Pietro schierata col centrosinistra. Qui il mio parere è abbstanza contrastante, direi equidistante, nel senso che sono un fautore della giusta pena, commisurata al reato commesso ma soprattutto certa, con il minimo spazio per le interpretazioni, ma sono al contempo un fermo sostenitore della funzione rieducativa e non punitiva del carcere. Funzione che poi in realtà in questo momento in Italia è puramente teorico, perchè la condizione degli istituti detentivi sovraffollati rende il soggiorno tutt’altro che rieducativo, quanto piuttosto una penitenza. C’è da dire che non ho particolare simpatia per le forze dell’ordine, ma non per una questione ideologica o pregiudiziale, è puramente perchè secondo me in Italia la maggior parte delle persone che entrano nelle forze dell’ordine sono degli esaltati megalomani e pure un pò nazisti, un pò degli aspiranti Rambo insomma, e certi episodi tipo quello della scuola Diaz durante il G8 o i vari cowboy che ogni tanto sparano colpi un pò a vanvera (Spaccarotella, uno su tutti) non succedono per caso.
Insomma, al termine di queste lunghe dissertazioni non so ancora se sono di destra o di sinistra, sicuramente non sono un estremista nè in un senso nè nell’altro, senza contare che fluttuo, cambio opinione nel corso del tempo. Direi che rispetto a dieci anni fa sto progressivamente spostandomi verso sinistra, ma magari il trend si invertirà nei prossimi dieci anni. Ma sicuramente finchè sulla scena politica italiana imperversa Berlusconi il problema non si pone, da qualunque parte stia lui io gli sto il più lontano possibile.