Visto che di recente, in data 21 gennaio per la precisione, ho scritto un post intitolato Si fa presto a dire merda, specifico che questo titolo, nonostante quei maliziosi puntini di sospensione, non è un diminutivo, me... non è un’elisione, è proprio me nel senso della mia persona.
Perchè a volte, nei momenti bui, mi capita di sentirmi sprovveduto, di accorgermi di avere riversato troppo tempo, troppe energie, troppe attenzioni, nei confronti di cose, accadimenti o persone, che alla fine si rivelano un brutto investimento. Non necessariamente per colpa loro, e non necessariamente per colpa mia, però mi è capitato spesso di recente, forse perchè a volte è necessario per sopravvivere alimentare delle illusioni, anche a costo poi di rimanerne delusi. E allora poi, nel momento della disillusione, mi arrabbio con me stesso, mi riprometto che non lo farò più, che non investirò più tanto di me stesso così, a scatola chiusa.
Oggi però mi ponevo una domanda: quello che conta è l’arrivo o il viaggio? Conta il risultato finale o come ci si è arrivati? Sono quelle domande sulle quali si potrebbe dissertare all’infinito, filosofeggiare per intere giornate. Certo, ponendo che non si abbia niente da fare e poco altro a cui pensare. E in un qualunque ipotetico dibattito ci sarebbe qualcuno che citerebbe il motto macchiavellico che il fine giustifica i mezzi. Non mi ha mai troppo convinto quel Macchiavelli.
L’ideale secondo me sarebbe vivere in una tale condizione di serenità da non essere costretti ad investire di troppe aspettative l’esterno, accadimenti o persone che non rispondono alle nostre volontà ma, giustamente, alle loro. Fosse facile. Potrei provare con qualche tecnica orientale, lo yoga, lo zen, quelle cose lì, diventare buddista, cercare il Nirvana. Non mi ci vedo, però…
E’ un mondo difficile, è vita intensa, felicità a momenti e futuro incerto (Tonino Carotone).
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